sabato 28 marzo 2009

1941 – L’avventura dell’Eritrea

Come la nave coloniale "Eritrea" gabbò la marina britannica
Nel 1941, alla vigilia della caduta della base navale italiana di Massaua, un'unità tricolore tenta una missione disperata per sfuggire alla cattura da parte delle forze britanniche: raggiungere il lontano Giappone attraversando l'Oceano Indiano e i mari del Sud Est asiatico. Epopea di una nave e del suo coraggioso equipaggio che, attraverso mille insidie, riuscirono a portare a compimento un'impresa che, sia sotto il profilo nautico che militare, ha assunto i connotati di un vero e proprio record.
Quando verso la fine di gennaio del 1941 la situazione militare in Africa Orientale Italiana iniziò ad aggravarsi e fu subito chiaro che la grande offensiva scatenata dalle forze britanniche di stanza in Sudan avrebbe prima o poi investito anche la base navale di Massaua (Eritrea), Supermarina attuò alcuni provvedimenti, preventivamente studiati, relativi all'abbandono della base da parte di tutte quelle unità, civili e militari (italiane ma anche di nazionalità tedesca), in grado di raggiungere porti neutrali o amici. Tuttavia, ai responsabili delle forze navali italiane di Massaua (nella fattispecie, l'Ammiraglio Bonetti) fu subito chiaro che il tentativo di sfuggire alla morsa nemica sarebbe riuscito soltanto ad un numero relativamente modesto di unità, cioè a quelle dotate di autonomia e attrezzature sufficienti ad affrontare le traversata che le avrebbe dovute condurre in salvo.
Per quanto concerneva la squadra militare, le uniche navi adatte ad intraprendere una così difficile missione (i porti neutrali o amici più vicini erano quelli della colonia francese del Madagascar) risultavano essere la nave coloniale Eritrea e le ex bananiere Ramb I e Ramb II, che erano state recentemente trasformate in incrociatori ausiliari. Dopo avere analizzato tutte le possibili rotte da percorrere, Supermarina decise di fare tentare alle tre unità (che tra tutte erano quelle in migliori condizioni e le uniche armate) la traversata più lunga e difficile: quella che avrebbe dovuto condurle in Estremo Oriente, dove avrebbero potuto trovare rifugio presso i sorgitori controllati dall'alleato giapponese.
L'approntamento delle tre unità venne ufficializzato nei primi giorni di febbraio e, per prima cosa, un folto gruppo di tecnici e marinai venne incaricato di iniziare immediatamente i lavori di revisione degli scafi, degli apparati motore e dell'armamento di bordo, nel mentre l'intendenza della base provvedeva a rifornire le navi di tutto l'occorrente (carburante, pezzi di ricambio, munizioni, viveri, acqua potabile e medicinali) per la missione.
Delle tre unità quella che per caratteristiche tecniche e belliche e per composizione dell'equipaggio risultava forse la più idonea a svolgere una così lunga missione era l'Eritrea: una nave piuttosto moderna (era entrata in servizio il 28 giugno 1937) destinata a specifici compiti coloniali. Senza nulla togliere alle due Ramb che pur essendo anch'esse dei buoni scafi, non erano state però concepite per svolgere impieghi che includessero azioni belliche. La presenza nel Mar Rosso e in Oceano Indiano di diverse basi militari britanniche e di numerose unità da guerra della Royal Navy, faceva infatti intendere che la missione delle tre navi italiane avrebbe, probabilmente, comportato l'incontro e lo scontro con il nemico: eventualità che si sarebbe trasformata in una autentica iattura per i piroscafi civili Ramb che poco avrebbero potuto fare contro navi militari britanniche.
L'Eritrea, dal canto suo, non era certo una nave da guerra temibilissima, ma proprio per le sue caratteristiche "militari" avrebbe potuto, in ogni caso, cavarsela meglio. Ovviamente, solo nel caso di un suo incontro con unità sottili nemiche. L'armamento dell'Eritrea risultava, infatti, sufficiente a controbattere la potenza di fuoco di un dragamine, di una torpediniera o, al massimo, di un caccia. Valutate tutte le soluzioni atte a dare il massimo dell'efficienza tecnica e operativa alla nave, l'ammiraglio Bonetti lavorò affinché l'equipaggio ad essa destinato fosse scelto con grande cura, affidando il comando dell'unità ad un ufficiale di vagliata esperienza: il capitano di fregata Marino Iannucci che alla fine di gennaio era stato fatto venire appositamente dall'Italia a bordo di un trimotore speciale Savoia Marchetti SM75 a lunga autonomia.
LA NAVE COLONIALE "ERITREA"
La nave coloniale Eritrea era, come si è detto, un'unità piuttosto moderna e ben riuscita. Impostata il 25 luglio 1935 nel cantiere di Castellamare di Stabia, essa venne varata il 20 settembre dell'anno seguente, entrando poi in servizio il 28 giugno 1937. La nave misurava 96,90 metri, era larga 13,32 metri e aveva un'immersione di 4,73 metri. Lo scafo dislocava 3.117 tonnellate ed era dotato di 2 motori diesel da 7.800 cavalli più 2 propulsori elettrici da 1.300 cavalli, che consentivano una velocità massima (diesel) di 20 nodi e una (elettrica) di 11. L'autonomia dell' Eritrea era di 6.950 miglia marine ad 11,8 nodi di velocità (diesel). E l'armamento di bordo era composto da 4 cannoni da 120 millimetri (su due torrette binate, prodiera e poppiera, parzialmente scudate), da 2 cannoncini semiautomatici da 40 mm. antiaerei e da 2 mitragliere da 13,2 mm. antiaeree. L'equipaggio della nave era formato da 13 ufficiali e 221 marinai.
GIAPPONE E GERMANIA LESINANO LA LORO COLLABORAZIONE
Prima di addentrarci nel racconto della missione dell'Eritrea, è opportuno fare il quadro della situazione politico-militare del periodo, in stretta relazione con gli avvenimenti concomitanti e con l'atteggiamento diplomatico del Giappone, nazione alla quale il Governo italiano aveva chiesto la necessaria collaborazione per la riuscita della missione dell'Eritrea e delle Ramb I e Ramb II. In un primo momento (nell'autunno del 1940), la disponibilità a cooperare da parte di Tokyo era apparsa ai vertici di Supermarina (organo al quale spettava, ovviamente, il coordinamento di tutte le operazioni coinvolgenti le unità italiane) quasi certa.
Tuttavia, dopo qualche mese (tra il febbraio e il marzo 1941), il governo dell'alleato nipponico decise di fare un passo indietro, costringendo il Comando della Regia a modificare improvvisamente alcuni dettagli inerenti all'operazione combinata delle tre unità. Nella fattispecie, quando gli addetti militari giapponesi a Roma vennero a sapere che era intenzione di Supermarina non soltanto fare fuggire le sue navi dislocate a Massaua in direzione del Far East, ma fare compiere ad esse, durante la traversata, azioni di guerra nei confronti di isolati piroscafi britannici, Tokyo comunicò subito la sua totale disapprovazione, minacciando di ritirare ogni promessa fatta in precedenza.
Per questa ragione, l'11 marzo del '41, cioè ben più tardi della partenza delle tre navi da Massaua (in quella data l'Eritrea e la Ramb II si trovavano in procinto di passare dall'Oceano Indiano al Mar delle Molucche, mentre la Ramb I - comandata dal tenente di vascello Bonezzi -giaceva già in fondo al mare essendo stata intercettata e affondata da un incrociatore britannico Leader ad ovest delle Maldive il 27 febbraio), Supermarina dovette comunicare ai comandanti delle due unità superstiti (la Ramb II era comandata dal tenente di vascello Mazzella) di astenersi tassativamente da qualsiasi azione offensiva.
Contrordine che venne impartito per due precisi motivi: l'assoluta volontà manifestata dal Giappone di non inimicarsi l'Inghilterra e gli Stati Uniti e la presenza in Oceano Indiano di navi corsare tedesche che già da tempo si appoggiavano, più o meno segretamente, a basi nipponiche del Pacifico. Nella circostanza, fu anche l'atteggiamento, altrettanto palesemente contrario, dell'Ammiragliato germanico (che temeva un'intrusione di unità italiane, peraltro bellicamente poco efficienti, nelle aree battute dai propri efficientissimi "corsari") a fare desistere Supermarina dai suoi progetti offensivi. A questo proposito, va ricordato che, ai primi di marzo del '41, il responsabile dell'ufficio Collegamento della Kriegsmarine di Roma, ammiraglio Weichold, aveva messo in guardia Supermarina circa "l'inopportunità diplomatica e tecnica di una disposizione - quella di affidare all'Eritrea e alle due Ramb il compito di effettuare 'guerra di corsa' in Oceano Indiano o in Oceano Pacifico - che avrebbe potuto incrinare seriamente i rapporti tra Germania, Italia e Giappone": un consiglio, quello dell'ammiraglio tedesco, che assumeva, per il tono e la sostanza, i connotati di un vero e proprio ordine che il Comando della Regia (già fortemente dipendente nei confronti della Germania per le forniture di nafta) non ebbe la forza di ignorare.
UN VIAGGIO DI SOLA ANDATA
L'Eritrea lascia la base di Massaua all'imbrunire del 18 febbraio, e la sera seguente supera agevolmente lo stretto di Bab el Mandeb, sfuggendo alla ricognizione aerea inglese di base ad Aden. Il 22, quando la nave si trova a circa 250 miglia dalla costa somala, il comandante Marino Iannucci è costretto ad ordinare il "posto di combattimento" per l'avvistamento di un'unità sconosciuta, individuata ad una distanza di circa 30 chilometri. Passato un quarto d'ora, il comandante ha più chiara la situazione, distinguendo con il binocolo alcune caratteristiche della nave che si rivela essere un grosso incrociatore ausiliario inglese da 12/14.000 tonnellate, presumibilmente armato con più pezzi da 152 millimetri.
Fortunatamente, l'unità inglese (dopo avere, a sua volta, avvistato l'Eritrea) effettua un'improvvisa manovra di allontanamento, dando la chiara impressione di volere evitare lo scontro. Il comportamento del nemico agevola Iannucci che fa subito accostare a dritta l'Eritrea, favorendo l'allontanamento. L'equipaggio italiano tira un sospiro di sollievo. Tuttavia, alle 19,23 del giorno successivo le vedette dell'Eritrea avvistano, al largo dell'Isola di Socotra, un altro piroscafo che viaggia a fanali spenti. Gli uomini tornano ai loro posti di combattimento. La sensazione di Iannucci è infatti quella di trovarsi di fronte ad un "avviso scorta" della classe Pathan.
Giunto ad una distanza di 6.000 metri, il comandante italiano accosta e cerca di allontanarsi, ma si accorge che la nave nemica non intende abbandonare il contatto visivo, forse per fare accorrere sul posto altre unità da guerra. Iannucci sa bene che in quel quadrante di Oceano sono frequenti i convogli scortati britannici operativi lungo le rotte Socotra-Mahè e Mombasa-Bombay. Il rischio di essere intercettati da preponderanti forze nemiche è quindi molto alto. La tensione a bordo sale. Gli artiglieri, in posizione ai loro pezzi da 120 e anche le mitragliere da 40 e quelle da 13,2 sono pronti al tiro. Le vedette scrutano l'orizzonte, ma la visibilità è molto bassa a causa dell'oscurità.
Sulla plancia, accanto ad alcuni marinai fa la guardia anche un personaggio decisamente strano, un ascaro eritreo quarantenne di nome Mohammed Shun Omar; un uomo alto, magro e con il turbante bianco in testa. Egli è l'unico elemento di colore imbarcato sull'Eritrea. Mohammed viene più volte consultato dai suoi compagni. Gira voce che sia dotato di un particolare intuito extrasensoriale. In circostanze drammatiche come questa, i marinai, stirpe notoriamente scaramantica, si appellano non soltanto a ciò che è noto ma anche all'ignoto. Mohammed guarda l'oscurità, senza battere un ciglio, in totale silenzio, poi si volta verso i compagni e li rassicura sussurrando: "Tranquilli, la nave nemica non aprirà il fuoco". E così accade.
Il comandante Iannucci, dopo avere tentato invano di sganciarsi dall'unità inglese, sempre alle calcagna, cerca di allungare la distanza che separa quest'ultima dall'Eritrea (i due scafi stavano viaggiando quasi paralleli e ad una distanza di neanche due chilometri). La situazione si fa troppo pericolosa. Da un momento all'altro i cannoni della nave nemica potrebbero aprire il fuoco. Gli artiglieri italiani sono sempre ai loro posti, ma Iannucci preferirebbe evitare un combattimento. Un colpo fortunato dell'avversario potrebbe colpire qualche organo vitale della nave o peggio (sulla coperta sono, tra l'altro sistemati, ben 750 fusti di nafta aggiuntivi imbarcati a Massaua per aumentare l'autonomia della nave) e compromettere l'intera missione.
Quindi, meglio sganciarsi, protetti da una cortina fumogena. E così l'Eritrea accosta a dritta verso sud, azionando i fumogeni che in pochi minuti la avvolgono completamente. Sconcertata dall'improvvisa manovra di Iannucci, la nave inglese non apre il fuoco e cerca invece di aggirare la cortina di sopravento per poi accostare a sinistra e riprendere il contatto. Ma la manovra fallisce in quanto l'Eritrea riesce a dileguarsi nella notte. Come raccontò lo stesso comandante Iannucci: "alle 23,00, dopo accuratissime esplorazioni, le mie vedette si accorsero che il nemico era stato seminato. La missione poteva quindi procedere e l'Eritrea si avventurava in pieno Oceano Indiano, in direzione sud-sud est", lasciandosi alle spalle l'isola di Socotra, e il nemico con un palmo di naso.
L'8 marzo 1941, dopo circa 16 giorni di navigazione piuttosto tranquilla nel corso della quale l'Eritrea non incrocia navi nemiche, l'unità italiana raggiunge le acque a sud di Giava, tra la grande isola olandese e il piccolo isolotto di Christmas. Tutto procede per il meglio: il morale dell'equipaggio è altissimo e i motori dell'unità non sembrano affaticati dalla lunga traversata. L'Eritrea è quasi a metà del suo viaggio. Il comandante Iannucci annota sul suo diario di bordo: "Fra tre giorni mi troverò nei mari della Malesia. Le rotte e i passaggi sono obbligati; non ho come in Oceano Indiano la possibilità di evitare di essere avvistato da qualche nave nemica e di sfuggirle scegliendo la rotta che più fa comodo nei 360° dell'orizzonte.
Sono quindi costretto a provvedere al camuffamento della nave. Ed escludendo che possa trasformare l'Eritrea in un mercantile, non mi rimane che cercare sull'almanacco navale un'unità militare appartenente ad un paese neutrale che abbia una sagoma abbastanza vicina alla nostra". Dopo qualche ora di attenta ricerca, Iannucci trova sull'annuario una bella immagine fotografica del Pedro Nunez, un avviso scorta portoghese che, assomiglia parecchio all'Eritrea. La scelta da parte di Iannucci di una nave lusitana non è casuale. Il Portogallo possiede infatti metà orientale dell'Isola di Timor (quella occidentale è sotto dominio olandese) e come nazione non belligerante può inviare in quelle acque (che verranno solcate dall'Eritrea) qualsiasi nave militare, senza che la Marina britannica se ne preoccupi più di tanto.
Per cercare di fare coincidere il più possibile le caratteristiche esterne delle due unità, Iannucci fa innalzare sull'Eritrea un finto tripode di prora e fa costruire un altrettanto finto pezzo di murata lungo la sezione poppiera di coperta. "Oltre a ciò, rivestiamo due stralli del trinchetto in modo che abbiano un diametro di una trentina di centimetri, e invece che a murata faccio loro dormiente in coperta più spostati al centro, in modo che il tripode risulti giustamente divaricato. Alla battagliola di poppa, infine, faccio mettere il para gambe pitturato in grigio come il resto dello scafo". Effettuate queste modifiche, l'Eritrea risulta quasi completamente somigliante al Pedro Nunez. Intanto la navigazione procede e la nave italiana punta verso l'Isola di Sumba, situata ad occidente di Timor.
L'11 marzo, Iannucci riceve un telecifrato da Supermarina che gli consiglia il passaggio lungo il canale tra Timor e la piccola isola di Alor per poi addentrarsi nel Mare di Banda. Il 14 marzo, dopo avere doppiato la costa ovest dell'Isola di Buru ed essere riuscita a sfilare ad occidente dell'Isola di Waigeo, l'Eritrea esce dal Mare di Banda ed entra finalmente nell'Oceano Pacifico, puntando decisamente verso nord-est. Il 16 marzo, la nave si lascia sulla sua destra l'Isola di Yap (Isole Caroline occidentali) e prosegue la sua navigazione verso nord in direzione delle Isole Bonin, che raggiunge il giorno 18.
L'Eritrea naviga ora in una zona posta sotto il controllo della Marina Imperiale giapponese. Salvo qualche sgradito ma improbabile incontro con qualche unità britannica, la lunga missione sembra volgere a termine nel migliore dei modi. E così è. Pochi giorni dopo essersi lasciata alle spalle le Bonin, la nave coloniale italiana raggiunge Kobe. Ad accogliere e a festeggiare il comandante Iannucci e il suo equipaggio non sono in molti. Soltanto una piccola e discreta delegazione diplomatica e militare italiana attende su un molo. La conclusione dell'epica missione dell'Eritrea non deve suscitare infatti troppo clamore.
Questo è il desiderio espresso dal governo e dalla Marina di Tokyo che, curiosamente, proprio in quei giorni stanno ultimando in gran segreto i dettagli di un eventuale attacco a sorpresa contro le forze anglo-americane in Asia.
Alberto Rosselli

L'avventurosa vita della regia Nave Eritrea
lettera scritta da un elettricista della Nave e spedita da Singapore il 27 ottobre 1945.
L’incrociatore Coloniale “ERITREA"
Classificata Incrociatore, fu progettata nel 1934 dal Maggiore Generale del Genio Navale Icilio d’Esposito, impostata l’anno successivo presso il Cantiere Navale di Castellammare di Stabia e consegnata alla Marina il 10 febbraio 1937. Aveva un dislocamento a pieno carico di 3.117 tonnellate. Era dotato di un duplice apparato di propulsione: il principale costituito da due motori diesel della potenza di 7.000 C.V. e il secondario, accoppiato sugli stessi assi, formato da due motori elettrici alimentati da un gruppo diesel-dinamo da 650 C.V. I due sistemi assicuravano alla Nave una velocità di 20 nodi, con il funzionamento contemporaneo dei due sistemi e 18 nodi con i soli motori diesel. – La sua autonomia era di circa 7.000 miglia alla velocità di 11,8 nodi. – Era armato con 4 cannoni da 120/45, 2 mitragliere da 40/39 e 4 da 13,2 millimetri. L’Equipaggio era costituito da 234 uomini, compresi 13 Ufficiali
Progettata per il servizio nei climi caldi delle Colonie, aveva un armamento bellico multiruolo, dovendo essere in grado di assolvere funzioni di Avviso-Scorta, Posamine ed appoggio Sommergibili.
La sua prima missione significativa avvenne nel giugno del 1937, allo scoppio della guerra civile spagnola. In quell’occasione fu inviata nel Mediterraneo Occidentale. Sul finire dell’anno, compiuta la missione, fu destinata a Pola.
Agli inizi del 1938, alzando l’insegna del C.V. Mario Zambon, Comandante Superiore Navale in Africa Orientale Italiana, fu dislocata a Massaua in appoggio ai Sommergibili della Base. e in quella sede operò fino all’imminenza dell’occupazione dell’Eritrea da parte delle truppe britanniche.
Effettuati i lavori di manutenzione all’apparato motore ed allo scafo, imbarcati viveri ed acqua e ridotto l’Equipaggio, tenendo a bordo il solo personale indispensabile, la Nave era pronta ad affrontare la sua più difficile ed impegnativa missione
La notte del 19 febbraio 1941, al Comando del C.F. Marino Jannucci, in tutta segretezza, lasciò Massaua con l’ordine di forzare il blocco navale anglo-francese e raggiungere l’alleato Giappone. (continua)

Marino Iannucci
L' ammiraglio Marino Iannucci nacque a Castro dei Volsci il 15 Aprile 1900 da una famiglia di modesti agricoltori. Adolescente si iscrisse alla Regia Accademia Navale di Livorno e nel 1919 concluse gli studi con il grado di Guardiamarina. Fu imbarcato su numerose navi nelle quali maturò l'esperienza della navigazione e finalmente l'anno successivo, fu nominato Tenente di Vascello sulla nave S. Marco. Promosso Capitano di Fregata prese il comando della nave da guerra Eritrea. Subito dopo la guerra, promosso al grado di Contrammiraglio, fu nominato presidente del Tribunale Militare Territoriale di La Spezia. Dall' Ottobre 1952 alla morte, avvenuta a Genova il 15 Settembre 1953, fu Direttore Idrografico della Marina.



RN Eritrea
La Eritrea fu una nave della Regia Marina che prese parte alla seconda guerra mondiale attrezzata per l'appoggio ai sommergibili e adatta per la posa delle mine.
La costruzione dell'unita avvenne negli stabilimenti della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia dove lo scafo venne impostato il 25 luglio 1935. Varata il 20 settembre 1936 la nave entrò in servizio il 28 giugno 1937. La propulsione era di 2 motori diesel da 7.800 cavalli più 2 propulsori elettrici da 1.300 cavalli, che consentivano con la propulsione diesel una velocità massima di 20 nodi e con la propulsione elettrica di 11 nodi. L'autonomia con la propulsione diesel era di 6.950 miglia a 12 nodi. L'armamento era costituito da 4 cannoni da 120 mm in due torrette binate, parzialmente scudate, una prodiera e una poppiera, da 2 cannoncini semiautomatici da 40mm antiaerei e da 2 mitragliere da 13,2 mm antiaeree. L'equipaggio della nave era formato da 13 ufficiali e 221 marinai.
Venne destinata al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana, rimanendovi fino al 18 febbraio 1941 quando Supermarina diede l'ordine di raggiungere l' Estremo Oriente forzando il blocco inglese.
L'unità, al comando del capitano di fregata Marino Iannucci, lasciata Massaua la sera seguente superò agevolmente lo stretto di Bab el-Mandeb, sfuggendo alla ricognizione aerea inglese di base ad Aden. Il 22 quando la nave si trovava a circa 250 miglia dalla costa somala venne avvistata un'unità sconosciuta, presumibilmente un incrociatore ausiliario inglese che dopo avere, a sua volta, avvistato l'Eritrea effettuò un'improvvisa manovra di allontanamento, dando la chiara impressione di volere evitare lo scontro. Tuttavia, alle 19,23 del giorno successivo le vedette dell'Eritrea avvistano, al largo dell'isola di Socotra, un'altra unità inglese. Il comandante Iannucci per sganciarsi dall'unità inglese, accostò a dritta verso sud, azionando i fumogeni che in pochi minuti avvolsero completamente l'Eritrea. La nave inglese anziché aprire il fuoco cercò di aggirare la cortina per riprendere successivamente il contatto, ma la manovra fallì in quanto l'Eritrea riuscì a dileguarsi nella notte.
Insieme all'Eritrea da Massaua erano partite altre due navi, la RAMB I, affondata il 27 febbraio dall'incrociatore neozelandese HMNZS Leander e la RAMB II. Per la riuscita della missione dell'Eritrea e della RAMB superstite era necessaria la collaborazione giapponese e la disponibilità a cooperare da parte del Giappone legato all'Italia dal Patto tripartito era quasi certa. Tuttavia tra il febbraio e il marzo 1941, il governo di Tokio decise di fare un passo indietro, costringendo la Regia Marina a modificare alcuni dettagli dell'operazione. Concordato con i giapponesi la unità italiane, durante la traversata, dovevano astenersi da qualsiasi azione corsara nei confronti di isolati piroscafi britannici, minacciando in caso contrario di rifiutare qualsiasi collaborazione. Questo poiché il Giappone non voleva inimicarsi l'Inghilterra e gli Stati Uniti vista anche la presenza nell'Oceano Indiano di navi corsare tedesche che già da tempo si appoggiavano, più o meno segretamente, a basi giapponesi del Pacifico. Anche i comandi della Kriegsmarine avevano mostrato la loro preoccupazione che navi corsare italiane interferissero in acque battute dalle proprie navi corsare e invitarono i comandi della Regia Marina a far desistere le proprie unità di compiere qualsiasi azione corsara durante il trasferimento, un invito che il Comando della Regia Marina, fortemente dipendente dai tedeschi per le forniture di nafta, non poteva ignorare, per cui alle due navi che erano impegnate nella missione di trasferimento l'11 marzo venne dato da Supermarina l'ordine di astenersi da qualsiasi azione corsara.
Proseguendo il viaggio, dovendo poi obbligatoriamente transitare nelle acque della Malesia attraverso lo Stretto di Malacca per passare dall'Oceano Indiano al Pacifico, per sfuggire alla caccia di unità nemiche l'equipaggio ricorse al camuffamento della nave rendendola quasi completamente somigliante al Pedro Nunez un avviso-scorta portoghese che somigliava parecchio all'Eritrea. Il Portogallo possedeva la metà orientale dell'Isola di Timor (mentre quella occidentale era sotto dominio olandese) e come nazione non belligerante poteva inviare in quelle acque qualsiasi nave militare senza che la Royal Navy se ne preoccupasse più di tanto.
Il 14 marzo, passando lungo il canale tra Timor e l'isola di Alor entrando nel Mar di Banda l'Eritrea dopo aver doppiato la costa occidentale dell'isola di Buru entrò finalmente nell'Oceano Pacifico puntando verso Nord-Est. Dopo aver lasciato alla propria destra le Yap, un gruppo di isole delle Caroline il 16 marzo l'Eritrea raggiunse il 18 marzo una zona sotto il controllo della Marina Imperiale giapponese, approdando pochi giorni dopo a Kobe riuscendo così ad arrivare indenne in Giappone. Ad accogliere e a festeggiare l'Eritrea e il suo equipaggio fù solamente una piccola e discreta delegazione diplomatica e militare italiana su un molo. La conclusione dell'epica missione dell'Eritrea non doveva suscitare infatti troppo clamore.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, l'Eritrea, sempre al comando di Marino Iannucci riuscì a fuggire dal Giappone rifugiandosi in India dove venne internata dalle autorità marittime britanniche.
Rientrata poi in Italia al termine della guerra, nel 1948, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace venne ceduta alla Francia. .
Entrata a far parte della Marine Nationale il 12 febbraio 1948 la nave venne ribattezzata Francis Garnier e classificata Aviso cebbe assegnato il distintivo ottico F 730.
Il Francis Garnier partecipò alla guerra d'Indocina con compiti di scorta. Sottoposto a lavori di ammodernamento dal 1951 al 1953, con la fine della dominazione francese in Indocina prese parte dal 1954 alle operazione di evacuazione dei cittadini francesi dal Tonchino lasciando Saigon nel 1955. Dal 1956 al 1957 svolse dei lavori in un cantiere del Giappone prima di essere destinato ad operare nelle colonie francesi del Pacifico. Dal 1959 al 1960 venne sottoposto ad un nuovo ciclo di lavori alla base britannica di Diego Garcia. Destinato a Papeete nell'isola di Tahiti nella Polinesia francese, il Francis Garnier venne collocato in riserva il 1° gennaio 1966 per essere radiato il successivo 5 ottobre. Usato come bersaglio in un esperimento nucleare svolto nell'atollo di Mururoa, il Francis Garnier affondò il 29 ottobre 1966 alle 16:15 ora di Mururoa. Il relitto giace a circa 1300 metri di profondità.
(fonte)

RN RAMB I
La nave RAMB I fu una bananiera veloce della Marina mercantile italiana, allo scoppio della seconda guerra mondiale venne convertita in incrociatore ausiliario. Fu costruita a Sestri Ponente nel cantiere Ansaldo nel 1937.
Il Ministero delle Colonie del Regno d'Italia aveva la necessità di trasportare nel territorio metropolitano le banane prodotte in Somalia, all'epoca colonia italiana, per questo motivo ordinò quattro unità che dovevano aveve un'autonomia sufficiente per effettuare il percorso da Mogadiscio a Napoli senza soste intermedie ed a pieno carico. In base a queste necessità furono costruite 4 navi frigorifere che dovevano essere gestite dalla Regia Azienda Monopolio Banane (RAMB), due nel Cantiere Ansaldo di Genova Sestri e due dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone. In base a disposizioni legislative precedenti, fin dalla costruzione delle unità era prevista la possibilità di trasformarle in incrociatori ausiliari, con 4 pezzi da 120/40mm in coperta. I materiali per la militarizzazione delle navi furono posti in deposito a Massaua per due unità ed a Napoli per le altre due. Il 10 giugno 1940, data dell'entrata in guerra dell'Italia l'unica della quattro navi a trovarsi nel Mediterraneo era la RAMB III mentre le altre tre si trovavano nel Mar Rosso, quindi senza alcuna possibilità di collegarsi con il territorio metropolitano.
La RAMB I dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia il 10 giugno 1940 fù messa a disposizione del Comando Navale Africa Orientale Italiana. La conversione della bananiera in incrociatore ausiliario fu fatta nel porto eritreo di Massaua, venendo armata con 2 cannoni da 120/40 mm e 2 mitragliere da 13,2 mm antiaeree. Con la caduta dell'Africa Orientale Italiana, la RAMB I, insieme alla nave coloniale Eritrea e alla RAMB II, partirono per l'Estremo Oriente.
Partita da Massaua al comando del tenente di vascello Bonezzi la "RAMB I" il 27 febbraio 1941 incontrò sulla sua rotta l'incrociatore neozelandese HMNZS Leander che inziò a colpirla con cinque salve. Così la RAMB I venne affondata e il suo equipaggio, 113 marinai, incluso il comandante, vennero tratti in salvo dall'incrociatore neozelandese e sbarcati in seguito nell'Atollo di Addu e successivamente trasferiti come prigionieri di guerra nel campo prigionia di Colombo a Ceylon con la nave cisterna Pearleaf.
(fonte)

RN RAMB II
La nave RAMB II fu una bananiera veloce della Marina mercantile italiana, allo scoppio della seconda guerra mondiale venne convertita in incrociatore ausiliario. Fu costruita presso i Cantieri Riuniti dell' Adriatico di Monfalcone nel 1937.
Il Ministero delle Colonie del Regno d'Italia aveva la necessità di trasportare nel territorio metropolitano le banane prodotte in Somalia, all'epoca colonia italiana, per questo motivo ordinò quattro unità che dovevano aveve un'autonomia sufficiente per effettuare il percorso da Mogadiscio a Napoli senza soste intermedie ed a pieno carico. In base a queste necessità furono costruite 4 navi frigorifere che dovevano essere gestite dalla Regia Azienda Monopolio Banane (RAMB), due nei cantieri Ansaldo di Genova-Sestri Ponente e due dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone. In base a disposizioni legislative precedenti, fin dalla costruzione delle unità era prevista la possibilità di trasformarle in incrociatori ausiliari, con 4 pezzi da 120/40 in coperta. I materiali per la militarizzazione delle navi furono posti in deposito a Massaua per due unità ed a Napoli per le altre due. Il 10 giugno 1940, data dell'entrata in guerra dell'Italia, la RAMB III era l'unica della quattro navi che si trovava in Mediterraneo mentre le altre tre si trovavano nel Mar Rosso e quindi senza alcuna possibilità di collegarsi con il territorio metropolitano.
La RAMB II dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia il 10 giugno 1940 fu messa a disposizione del Comando Navale Africa Orientale Italiana. La conversione della bananiera in incrociatore ausiliario fu fatta nel porto eritreo di Massaua, venendo armata con 2 cannoni da 120/40 mm e 2 mitragliere da 13,2 mm antiaeree.
Con la caduta dell'Africa Orientale Italiana, la RAMB II, insieme alla nave coloniale Eritrea e alla RAMB I, partirono per l'Estremo Oriente. La Ramb I fu affondata il 27 febbraio 1941 dall'incrociatore neozelandese HMNZS Leander, mentre il 23 marzo successivo la RAMB II raggiunse Kobe in Giappone. Subito dopo, la RAMB II fu sottoposta a lavori di ammodernamento per operare come corsara nell'Oceano Pacifico.
Dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943, la RAMB II fu presa in consegna dalla Marina Imperiale giapponese e ribattezzata Calitea II, prestando servizio per i giapponesi fino al 12 gennaio 1945 quando venne affondata da un aereo americano.
(fonte)

Bibliografia
Marino Iannucci, L'avventura dell'Eritrea, 1. ed. 1951, 2. ed. Roma, Rivista marittima, 1985

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