* Junio Valerio Borghese “Dopo un anno di prove ed esperienze condotte sul lago d'Iseo dal sottotenente di vascello Massano, ad alcune delle quali avevo partecipato, era stato messo a punto il sommergibile d'assalto, il CA, adattandolo alle sue nuove funzioni; contemporaneamente a Bordeaux, ove frattanto il comando della base dei nostri sommergibili atlantici era stato assunto dal capitano di vascello Enzo Grossi, si erano concretizzate le possibilità, da me sperimentate, di servirsi di un sommergibile oceanico per il trasporto del CA in vicinanza della base nemica. Due operazioni erano in preparazione con questo mezzo : un attacco contro New York, risalendo col CA l'Hudson fino al cuore della metropoli; l'effetto psicologico sugli americani, che non avevano ancora subito alcuna offesa bellica sul loro territorio, superava di gran lunga, nel nostro proposito, il danno materiale, che si sarebbe inflitto (ed il nostro fu, a quanto mi risulta, l'unico piano praticamente realizzabile progettato per portare la guerra negli Stati Uniti). L'altra operazione prevedeva un attacco contro l'importante piazzaforte inglese di Freetown (Sierra Leone), sede della squadra navale del Sud-Atlantico. Le indubbie difficoltà che tali operazioni a vasto raggio presentavano erano in gran parte compensate dalla completa sorpresa; la comparsa dei mezzi d'assalto della Marina italiana, i quali avevano fino allora limitato la loro azione al settore Mediterraneo, non era certo prevista: misure difensive contro tale inatteso tipo d'attacco non erano presumibilmente in atto. L'azione contro New York, in stato di avanzata preparazione, era stabilita per il mese di dicembre 1943”.
* da Rapidi e invisibili, a cura di Alessandro Marzo Magno, il Saggiatore, Milano 2007 Nel dicembre del 1943 reparti speciali della X Flottiglia Mas erano pronti ad attaccare il porto di New York. Il piano prevedeva il trasporto di un minisommergibile del tipo CA fino a Fort Hamilton, da qui il mezzo con a bordo una squadra di Uomini-gamma avrebbe risalito il fiume Hudson fino a raggiungere il porto, dove gli incursori subacquei, sguinzagliati per i fondali, avrebbero colpito con appositi ordigni esplosivi il naviglio agli ormeggi. Dal punto di vista strettamente militare i danni sarebbero stati limitati e di scarsa importanza, ma sotto il profilo psicologico l’azione avrebbe avuto un effetto devastante. Per la prima volta una potenza militare straniera avrebbe colpito gli Stati Uniti sul proprio territorio nazionale. Un atto di sabotaggio, un attentato che potremmo definire di terrorismo se non fosse stato ideato nell’ambito di un conflitto mondiale dove la distinzione fra obiettivi civili e militari non aveva semplicemente senso, in nessuno degli schieramenti in campo. A oltre cinquant’anni di distanza da quella missione mai realizzata, e in un contesto nemmeno paragonabile a quello del dicembre 1943, l’attentato alle Torri gemelle compiuto dai terroristi islamici avrebbe raggiunto un risultato simile a quello che si era proposto la Regia marina italiana: portare la guerra sul suolo americano, infliggere un colpo psicologico durissimo a una nazione lontana dalle distruzioni e dal sangue sparso nel resto del mondo. Sin dall’inizio del Secondo conflitto mondiale, per gli strateghi dell’Asse gli Stati Uniti erano un obiettivo lontano e difficile: i tedeschi non riuscirono mai a portare i loro sabotatori oltre le maglie dell’intelligence americana per colpire le industrie belliche al di là dell’oceano, mentre dopo Pearl Harbour i giapponesi avevano sì mandato un sommergibile a bombardare la costa della California, ma il risultato furono solo danni di minima entità e tanta confusione. Un episodio ascrivibile più alle curiosità e alle tragiche bizzarrie di ogni guerra che non a un’azione tale da essere ricordata nei libri di storia. Attaccare il porto di New York avrebbe invece avuto ben altro impatto, anche sotto il profilo strategico. Lo sapeva bene il comandante della X Mas, Junio Valerio Borghese, lo sapevano i vertici della Marina, lo sapevano gli uomini che per quasi un anno si addestrarono alla missione. L’attacco al porto di New York, al quale avrebbe dovuto fare seguito analoga incursione nella base africana di Freetown, nella Sierra Leone, non fu portato a termine per il sopravvenuto armistizio. Ma tutto era pronto per quella che sarebbe stata senza dubbio la più spettacolare delle missioni speciali dei mezzi d’assalto della marina. L’azione era affidata alla X Flottiglia Mas, reparto d’incursori le cui origini vanno rintracciate alla fine della Prima guerra mondiale. Negli anni successivi al Primo conflitto mondiale la Regia marina lavorò al perfezionamento dei mezzi insidiosi sulla base del successo ottenuto da Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci con l’affondamento della «Viribus Unitis», pensando soprattutto a come modificare la «mignatta», l’apparecchio progettato fra mille difficoltà da Rossetti e utilizzato per affondare la corazzata austriaca. Nello stesso tempo vennero perfezionate le tecniche di immersione subacquea con la progettazione e la sperimentazione di nuovi autorespiratori. La crisi etiope favorì lo sviluppo dei mezzi insidiosi, ma fu solo nel 1939, con l’avvicinarsi della guerra in Europa, che fu deciso di assegnare più uomini e risorse al settore, in particolare alla I Flottiglia Mas. Per meglio seguire come si sviluppò il progetto dell’attacco diretto alla costa degli Stati Uniti, bisogna tornare agli aspetti strettamente tecnici delle missioni della X Mas, quella specifica propensione a porre l’ingegno al servizio dello sforzo bellico, che certo non era esclusiva di quel reparto, ma che trovò fertile terreno nella «sostanziale impermeabilità a fattori esterni» caratteristica delle formazioni speciali, e in particolare della X Mas. È in questo quadro che si affaccia un altro protagonista chiave del progetto dell’attacco al porto di New York, Eugenio Wolk, l’ideatore degli Uomini-gamma, protagonisti di molte missioni segrete sotto i mari fra il 1942 e il 1945 e anche nell’immediato dopoguerra. Wolk approdò nel 1941 ala Scuola sommozzatori di Livorno, diretta da Angelo Belloni (protagonista del secondo capitolo di questo libro). Le tecniche di esplorazione subacquea sono ancora agli inizi, ma è lì, nelle basi segrete della marina, che si studia il passaggio dal vecchio palombaro al moderno sommozzatore. L’idea cara a Belloni di soldati in marcia sul fondo del mare era, come riconobbe subito lo stesso Wolk, «fuori dalla realtà». I fanti di marina erano equipaggiati con una tuta impermeabile, un autorespiratore a circuito chiuso con due bombole, scarponi zavorrati da palombaro con puntali in bronzo muniti di «denti» per non scivolare sul fondo, una bussola, orologio da polso, sacchi supplementari, compensatori di peso, manometro da profondità. L’incursore portava poi sulle spalle una bomba a forma di bidone del peso di 50 chili. Così conciato, il fante di marina doveva uscire - di notte - da un sommergibile posato sul fondo del mare, camminare anche per due o tre chilometri fra correnti improvvise e insidie nascoste, superare reti e sbarramenti a difesa dei porti, raggiungere le navi alla fonda, piazzare gli ordigni e tornare indietro. Un’evidente follia. Insomma l’attacco così come era concepito non poteva funzionare. L’immagine da «Ventimila leghe sotto i mari» di uomini armati a passeggio sul fondo molto difficilmente avrebbe potuto portare ai risultati sperati. Bisognava cambiare tattica, anzi bisognava cambiare il modo di concepire l’incursione subacquea intesa come avvicinamento di truppe all’obiettivo. Wolk ne parlò con Borghese, e la soluzione individuata fu la più ovvia: gli uomini in acqua non dovevano camminare, ma nuotare. Gli incursori non dovevano assomigliare a guerrieri medievali ma piuttosto si dovevano confondere con i pesci, e come questi muoversi. Dunque via gli scarponi pesanti, via le zavorre e la tuta impermeabile, via gli orpelli ingombranti. Wolk progettò una muta di gomma che fosse il più possibile resistente e aderente al corpo, sotto la quale l’incursore indossava una tuta di lana e sopra la quale un’altra tuta leggera doveva proteggere dagli strappi e dalle lacerazioni. Ma soprattutto Wolk inventò un accessorio allora ancora sconosciuto e che in seguito avrebbe goduto di planetaria fortuna: le pinne. Pietro Spirito
* Lapo Mazza Fontana, Italia über alles - La X Mas: per la patria contro tutti, Boroli, Milano Il volume prende spunto da un episodio poco noto della seconda guerra mondiale: il progettato e mai avvenuto attacco dei sommergibili e dei reparti d’incursori della Xa MAS contro il porto di New York, programmato per l’autunno del 1943.
*1942. Attacco a New York Nel giugno del 1942 il sommergibile Leonardo da Vinci doveva distruggere il porto di New York: un piano militare studiato durante la Seconda Guerra Mondiale dalla Regia Marina. Il Leonardo da Vinci fu però affondato ad aprile nell’Atlantico e la missione fu rinviata a ottobre. Ma a settembre l’Italia firmò l’armistizio. Il fantastorico romanzo di Marcello Tessadri [Fermento, Roma 2008] ricostruisce in una narrazione mozzafiato questo attacco che solo per una serie di circostanze non è stato messo in atto.
Dall’affondamento della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci…
Il 27 settembre del 1915, alle ore otto di mattina, alcuni sabotatori austriaci distrussero la corazzata italiana Benedetto Brin, ancorata nel porto di Brindisi, provocando la morte di 456 marinai […] Ai primi di agosto del 1916, sabotatori austriaci si insinuarono nel porto di Taranto, facendo saltare in aria la corazzata Leonardo da Vinci, causando la morte di 248 marinai italiani. [Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Mondatori, Milano 1998, pp. 243 e 341, fonte]
Queste perdite (affondamento della Benedetto Brin, della Leonardo da Vinci e della Regina Margherita, quest’ultima finita in circostanze oscure in un campo di mine appena uscita dal porto di Valona) sono paragonabili ad una vera e propria battaglia navale persa, e rappresentano un trionfo per la rete di agenti nemici, disseminati in ogni ambiente. Amici dell’ex regina Maria Sofia (morta a Monaco di Baviera il 18 gennaio 1925 e sorella di Elisabetta, Imperatrice d’Austria-Ungheria, detta “Sissi”) operavano addirittura accanto al trono del papa. Uno di questi era mons. Rudolph Gerlach, bavarese, legatissimo alla ex regina, che aveva militato nell’esercito austriaco, condannato a morte in contumacia per aver diretto personalmente il sabotaggio della Brin e della Leonardo da Vinci. Quando fu finalmente arrestato [ndr a conclusione e per merito del famoso “Colpo di Zurigo” del 25 febbraio 1917, operazione di contro-spionaggio della Regia Marina Italiana, con la quale venne individuata, smascherata e neutralizzata una pericolosa rete di sabotatori austriaci operante in Italia, grazie alla coraggiosa violazione della cassaforte situata nella sede centrale della Marina austriaca di Zurigo] non fu fucilato bensì, forte delle potenti intercessioni in suo favore, accompagnato alla frontiera svizzera, da dove raggiunse poi la Baviera. […] Di questi casi si è sempre parlato poco o nulla, forse per carità di patria, forse per nascondere responsabilità di personaggi intoccabili. [Arrigo Petacco, La Regina del Sud, Mondadori 1992, cit. da cinquestelle, che è anche l’autore della annotazione siglata ndr; per altre informazioni su Gerlach, vedi ancora cinquestelle, anche qui]
Antonio Fiori Il controspionaggio “civile” Dalla neutralità alla creazione dell’Ufficio centrale d’investigazione 1914-1916 note 76 A. Massignani, La Grande Guerra segreta sul mare, cit., pp. 195-196. A parere di Massignani questi sabotaggi rimangono “questioni ancora aperte della storia segreta della prima guerra mondiale nel nostro Paese, poiché molti particolari rimangono da chiarire”. 77 Vedi Patrick Ostermann, Aspetti della propaganda degli Imperi centrali in Italia durante la prima guerra mondiale, “Ricerche storiche”, 1998, n. 2, pp. 293-314; A. Massignani, La Grande Guerra segreta sul mare, cit., p. 202. L’archivio dell’Ufficio centrale d’investigazione è piuttosto lacunoso, ma può fornire altri elementi. Conserva, tra l’altro, le risposte dei prefetti alla richiesta di informazioni su tutti i marinai, compresi quelli deceduti o dispersi, della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci: condotta morale e politica, eventuali condanne, condizioni economiche dell’individuo e della famiglia, eventuali variazioni di queste condizioni dopo i sinistri che avevano colpito le navi, e così via (ACS, Mi, Dgps, Ufficio centrale d’investigazione, bb. 4 e 5, fasc. 63 “Leonardo da Vinci” e bb. 8 e 9, fasc. 115 “Benedetto Brin”).